Il caso Gian Andrea Franchi, ossia criminalizzare la solidarietà

By Raffaella Tallarico – Migrante.org

Il 23 febbraio alle 5 e mezza del mattino la polizia entra in casa di Gian Andrea Franchi, 84 anni, professore di filosofia e vicepresidente di Linea d’Ombra, organizzazione di volontariato di Trieste. Gli agenti gli sequestrano il computer, il cellulare e i documenti dell’associazione. La procura della città indaga, nei confronti suoi e di altre persone, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

La polizia, nel luglio 2019, ha visto incontrarsi Franchi con una famiglia curdo-iraniana che era in contatto con dei passeur, che “aiutano” i migranti ad attraversare il confine facendosi pagare. I trafficanti erano sotto sorveglianza da tempo. L’uomo dà loro prima assistenza e li accompagna in stazione a prendere un treno per la Germania, dove queste persone risiedono. Secondo gli inquirenti, i fatti proverebbero l’esistenza di un legame tra i passeur e Gian Andrea. «Un’accusa particolarmente infamante: come se lui assistesse i migranti per lucrarci», dice Paola Spinelli, attivista di Linea d’Ombra.

L’attività quotidiana dell’organizzazione, però, racconta una storia diversa rispetto all’inchiesta. Essa nasce nel 2019 per volontà di Lorena Fornasir, moglie di Franchi, che cura personalmente i piedi distrutti dei migranti in arrivo a Triste, dopo la traversata della rotta balcanica. Un lavoro costante di assistenza per chi arriva.

Sembra poi incredibile ipotizzare un lucro sulla pelle dei migranti, quando capita che l’organizzazione triestina li sostenga anche economicamente: «le odv sono sottoposte a una normativa stringente sulle spese: per ogni acquisto si deve usare un unico bancomat e avere un certificato con fattura elettronica. Spesso sia Lorena che Gian Andrea, per assistere persone che hanno fame, si trovano a fare spese usando il loro conto».

L’indagine su Gian Andrea Franchi rappresenta una criminalizzazione della solidarietà che riguarda molte realtà che aiutano i migranti. Queste spesso si trovano a dover operare ai confini della legalità esclusivamente per assisterli, per rispetto dei diritti umani.

Esemplare è la pratica, diffusa in odv e associazioni sia in Italia che all’estero, di fare da prestanome per i migranti che devono ricevere denaro dalle famiglie d’origine per mantenersi. Spiega Paola: «se li fanno inviare dai parenti ma, se non sono ancora a posto con i documenti – perché non sono ancora arrivati a destinazione, o non hanno ancora richiesto asilo – chiedono agli operatori, che hanno il passaporto e le carte in regola, di ricevere i trasferimenti di denaro dai circuiti internazionali e, successivamente, di passarli a loro». Il rischio però è che l’entrata di soldi che provengono dall’estero nei conti delle associazioni provi il fine di lucro, esponendosi ad accuse di traffico di esseri umani, o di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

«Questo tentativo di associare chi aiuta a chi fa traffico e ci guadagna è la riproposizione della narrazione dei “taxi del mare” per le ong. La stessa Amnesty International ha preso atto che esiste un fenomeno del genere in Europa: criminalizzare – sia a livello giudiziario che mediatico – chi prova a dare una mano ai migranti».