A pochi giorni dallo sciopero generale dell’8 marzo, proclamato a sostegno della Giornata internazionale dei diritti delle donne, è necessario riflettere collettivamente su una realtà che, in ogni ambito quotidiano, è regolata da disuguaglianza di genere e violenza strutturale, introiettate a livello sociale.
I dati aggiornati e ufficiali per misurare e comprendere le radici sistemiche di questo fenomeno, anche se difficili da reperire per il colpevole ritardo con cui vengono resi disponibili, ci trasmettono una drammatica fotografia:
– 114 femminicidi e 53 tentativi di femminicidi solo nel 2024. L’unico crimine che negli ultimi 30 anni si mantiene praticamente costante, a fronte di una sostanziale diminuzione di tutti gli altri casi di omicidio, e che nel 90 % dei casi è commesso da un uomo conosciuto dalla vittima (marito, compagno, convivente, ex partner, padre, collega…).
– Oltre il 90% delle donne richiedenti asilo e rifugiate è vittima di violenza fisica, psicologica, economica, non solo durante l’inferno del viaggio per sfuggire a guerre, povertà e desertificazione sociale nei paesi di origine, ma anche nei periodi di transito e una volta raggiunto il nostro territorio. Una ulteriore stratificazione dei rischi connessi all’identità di genere.
– Il Gender Gap e Gender Pay Gap continuano a pesare. Nonostante un livello di istruzione mediamente più elevato, il tasso di occupazione, il livello retributivo e i percorsi di carriera delle donne sono diversi e penalizzanti se paragonate ai colleghi uomini, che guadagnano, mediamente oltre il 20% in più. E la forbice arriva al 44% per la pensione, a causa della maggiore precarietà e discontinuità lavorativa.
– Sin da piccole sulle donne pesa ancora il pregiudizio secondo cui solo alcuni percorsi formativi (per esempio quello umanistico) sarebbero davvero adatti, determinando un gap occupazionale/retributivo che, da subito, preclude proprio quelle opportunità professionali con migliori retribuzioni e carriere.
– Gli stereotipi di genere sono costruiti appositamente per giustificare sfruttamento e comportamenti iniqui in ambito lavorativo. Circa il 9% delle donne ha subito molestie e ricatti sessuali sul posto di lavoro.
– Sulle donne grava maggiormente il peso del lavoro di cura, che sia rivolto ai figli o alle persone fragili all’interno delle famiglie: una donna su quattro è costretta a lasciare il proprio lavoro dopo una gravidanza, per l’impossibilità di gestire tempo lavorativo e tempo familiare.
– Anche dal punto di vista della salute non va meglio. Assistiamo da anni al crollo del numero e delle reali funzioni dei consultori sanitari pubblici, che dovrebbero essere un presidio essenziale per la formazione sessuale, la salute, e l’assistenza gratuita delle donne di ogni età. Si cerca, invece, di attaccare e svuotare nei fatti la legge 194 riducendo gli stanziamenti pubblici (per favorire
organizzazioni private antiabortiste), permettendo l’aumento e il concentramento, in alcuni territori, dell’obiezione di coscienza fra medici e sanitari, creando di fatto un vero e proprio percorso ad ostacoli per chi, attraverso il libero accesso ai consultori, rivendica il diritto ad una scelta personale e consapevole.
Se poco più di dieci anni fa il nostro Paese, aderendo alla Convenzione di Istanbul, ha voluto formalmente attrezzarsi, su un piano strettamente normativo, per la repressione della violenza nei confronti delle donne, la politica, in realtà, è sempre stata portatrice insana della stessa matrice culturale che dovrebbe combattere. In questi ultimi anni di governo Meloni, stiamo assistendo ad una gravissima regressione: gli interventi hanno favorito sempre di più una visione, alimentata anche da politiche repressive e securitarie, anacronistica e retrograda di una società patriarcale, ripiegata sulla famiglia regolare e binaria, investita dalla Chiesa come unica custode dei “sani valori occidentali”.
È evidente che la sola resistenza oggi non può più bastare. La lotta stessa deve farsi convergenza e connessione fra movimenti femministi e transfemministi, centri antiviolenza, associazionismo, forze sindacali e studentesche. È ora di mettere in rete tutte le pratiche di opposizione, tutti gli strumenti e gli spazi concessi o strappati, per fare, con intelligenza collettiva, fronte comune contro un sistema di sopraffazione.
La Cub Donne Roma attraverserà convintamente il prossimo sciopero dell’8 Marzo, giornata internazionale di lotta contro la violenza e ogni discriminazione di genere, contro la guerra e l’economia di guerra come massima espressione della violenza patriarcale, la precarizzazione del lavoro, la disparità salariale, la mancanza di servizi sociali, sanitari e socioassistenziali pubblici, l’inasprimento di politiche xenofobe contro l’immigrazione.