Lo scorso 27 Novembre, il Comune di Roma ha annunciato, sulla pagina web, la sottoscrizione di un accordo con le centrali cooperative e con i sindacati confederali, in base al quale “la funzione di operatore domiciliare potrà essere svolta da: operatori socio sanitari, assistenti domiciliari e dei servizi tiutelari, assistenti familiari, persone in possesso del diploma quinquennale professionale nel settore dei servizi sociosanitari e titoli equipollenti, psicologi, OEPAC, Operatori con percorsi di laurea almeno triennale ad indirizzo sociale”.
Un accordo che, da una parte, cerca di supplire alla carenza di personale nel settore dell’assistenza domiciliare, dal quale i lavoratori e, soprattutto, le lavoratrici rifuggono a causa delle condizioni di lavoro estremamente precarie e dei salari al limite della sussistenza, dall’altra offre alle cooperative una via d’uscita per fronteggiare i tagli che il Comune sta operando sul servizio OEPAC.
A seguito dell’approvazione della nuova convenzione, infatti, gli/le operatori/trici non vengono più retribuiti già a partire dal primo giorno, in caso di assenza dell’utente, nonostante le linee guida del servizio prevedano che, in caso di assenza non programmata dell’alunno/a, la prestazione debba essere comunque effettuata nei primi due giorni.
Ancora una volta, quindi, si decide sulla testa delle lavoratrici e dei lavoratori, che saranno costretti a spostarsi da una parte all’altra della città, svolgendo mansioni diverse da quelle per cui sono stati assunti, per poter recuperare le ore di lavoro perse e racimolare una retribuzione dignitosa.
Un accordo che fa il paio con quello sottoscritto, di soppiatto, ad Agosto 2022, che consente alle cooperative di assumere i lavoratori e le lavoratrici con un doppio livello di inquadramento, in spregio alle normative sul lavoro subordinato.
Come se non bastasse, il nuovo accordo prevede “la qualificazione on the job delle figure professionali”, in barba a quanti e quante hanno speso denaro, tempo e fatica per la propria formazione.
Ancora una volta CGIL CISL e UIL arrivano in soccorso delle aziende, anziché preoccuparsi delle condizioni di precarietà e sfruttamento in cui versano le lavoratrici e i lavoratori. Non domandiamoci come mai l’Italia è l’unico paese europeo ad avere i salari fermi da trent’anni!
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