Centri diurni Alzheimer: riaprire in sicurezza

Dal 10 marzo i centri diurni  Alzheimer sono chiusi. In queste strutture non sarebbe stato possibile garantire il distanziamento interpersonale e un eventuale contagio avrebbe avuto  un impatto devastante sugli ospiti, che presentano spesso gravi patologie pregresse. Nelle scorse settimane gli effetti del lockdown sono stati molto pesanti sui malati di Alzheimer, che hanno sofferto il prolungato isolamento, rischiando di vedere compromessa la residua autonomia che le attività nei Centri avevano restituito loro, e sulle loro famiglie, che hanno dovuto farsi carico esclusivo del malato.

Nei centri diurni i malati di Alzheimer riescono, nonostante la patologia, con l’assistenza di personale specializzato, a svolgere varie attività, che valorizzano e rafforzano le capacità residue: stimolazione cognitiva, attività ludico motoria, giardinaggio e altro. Vengono accolti e seguiti da  equipe multidisciplinari, composte da operatori socio sanitari, infermiere, psicologi, educatori, assistenti sociali.

In seguito alla chiusura il servizio è stato trasformato in assistenza domiciliare, che, però, non può garantire la medesima qualità e tipologia di assistenza, in quanto, nel rapporto individuale viene meno la visione olistica e globale, che poteva essere offerta dall’osservazione di equipe, e non è possibile realizzare quell’integrazione sociale di cui queste persone avrebbero bisogno. Inoltre, mancando il gruppo di riferimento, l’operatore si trova a dover affrontare da solo eventuali criticità.

In sintesi non può portare il centro a casa!

Anche da un punto di vista meramente quantitativo, il supporto di qualche ora settimanale che si può offrire alle famiglie a livello domiciliare è irrisorio, se confrontato con quello che può essere garantito nel centro diurno (8 ore per tre giorni a settimana), che, inoltre, dà modo al familiare caregiver, spesso altrettanto anziano, di uscire dalla routine, diversificando la giornata, per ritrovare nuove energie da dedicare poi al proprio caro. È necessario, quindi, che l’intervento domiciliare venga limitato soltanto ai casi necessità e venga rimodulato per consentire all’operatore di lavorare nella massima sicurezza.

Dopo settimane in cui le operatrici e gli operatori hanno cercato di garantire l’assistenza, rischiando la loro salute e quella dei propri familiari, spesso sprovvisti di idonei dispositivi di protezione, è oggi necessario riprogrammare un graduale ritorno alla normalità, ponendo la massima attenzione nelle riaperture per evitare che i centri diventino nuovi focolai di infezione.

Occorre adeguare i centri alle nuove disposizioni, assicurare la sanificazione dei locali, garantire la sicurezza anche nel trasporto dall’abitazione al centro e viceversa, tenendo conto del fatto che le normali misure precauzionali sono difficilmente osservabili con i malati di Alzheimer, i quali, peraltro, sono spesso soggetti a problemi cardio circolatori.

Occorre riprogrammare l’attività con gruppi meno numerosi, fornendo tutti i dispositivi di protezione idonei per le situazioni in cui non è possibile rispettare il distanziamento interpersonale di 1 metro, e, soprattutto, sottoporre a screening gli operatori e gli utenti.

La CUB Sanità di Roma chiede un incontro urgente con l’Assessorato alle Politiche Sociali, per discutere le condizioni di riapertura dei centri diurni che assicurino al contempo l’assistenza e la sicurezza.

 

CUB Sanità di Roma e Provincia