Le strutture per anziani sono i maggiori focolai del virus. Dalla Lombardia arrivano notizie tragiche, centinaia di contagi tra gli ospiti e gli operatori, diverse strutture in isolamento, decine di anziani deceduti senza che, in molti casi, sia stato fatto loro il tampone. Ma anche nelle altre regioni la situazione è drammatica.
L’elevato tasso di letalità dipende, ovviamente, dal fatto che in queste strutture si concentra la popolazione più fragile, per l’età avanzata e le patologie pregresse. Ma non è l’unica ragione.
Negli ultimi 10 anni, pur essendo aumentato il numero degli anziani non autosufficienti o parzialmente autosufficienti, si notevolmente ridotto l’intervento pubblico nel settore, a favore di quello privato, che ha anteposto il profitto alla cura.
In quasi tutte le strutture è stato ridotto il personale medico; gli infermieri e gli operatori socio sanitari o assistenziali lavorano spesso con contratti precari, con un salario tra i più bassi del mercato. In questa fase di emergenza continuano a dare assistenza agli anziani, con turni massacranti, per sostituire i colleghi contagiati o in isolamento, con la paura di ammalarsi o essere veicolo di infezione; in molti casi mancano i DPI e i lavoratori sono costretti a lavare e sterilizzare le poche mascherine disponibili. Inoltre, nelle strutture più piccole, manca la possibilità di isolare le persone ammalate, moltiplicando il rischio di contagio.
Occorre mantenere alta l’attenzione, perché si ponga un freno alla strage che sta funestando molte strutture per anziani. Per poter contenere l’epidemia è necessario sottoporre a tampone tutti gli ospiti e tutti i lavoratori delle strutture, compresi gli addetti ai servizi ausiliari, pulizie, mense, manutenzione ecc, che possono trasmettere l’infezione anche da asintomatici.