L’emergenza sanitaria di questi giorni, che sta mettendo a durissima prova il sistema sanitario nazionale, ne sta evidenziando tutti i punti deboli: gli ospedali sono sotto stress, i reparti di terapia intensiva sono quasi al collasso, il personale è allo stremo delle forze. Questi aspetti non sono però casuali, ma il risultato di politiche scellerate che hanno depredato la Sanità pubblica, portante avanti dai governi, di ogni colore politico, degli ultimi 30 anni.
La fondazione GIMBE ha certificato che in 10 anni si sono persi 37 miliardi di finanziamenti (dal 2010 la spesa sanitaria è aumentata solo dello 0,9% contro una crescita media dell’inflazione dell’1,07%). La parte più consistente dei tagli, circa 25 miliardi, è avvenuta tra il 2010 e il 2015, con le manovre finanziarie dei governi Berlusconi e Monti; successivamente, nel periodo 2015 – 2019 sono state destinati alla sanità circa 12 miliardi in meno di quelli programmati, per esigenze di finanza pubblica. Nel 2018 la spesa sanitaria in Italia rappresentava l’8,8% del PIL, che però diventa 6,5% se si considerano solo gli investimenti pubblici. Inoltre il Def 2019 ha definito una progressiva riduzione del rapporto tra spesa sanitaria e PIL: 6,6% nel 2019-2020, 6,5% nel 2021, 6,4% nel 2022.
Dal 1997 al 2015 è stato dimezzato il numero dei posti letto, passando da 311 mila (5,8 ogni mille abitanti) a soli 191 mila (3,6 ogni mille abitanti); i posti per i casi acuti e la terapia intensiva sono passati da 575 ogni 100 mila abitanti ai 275 attuali.
La spesa per il personale è diminuita del 5,3%: oggi mancano all’appello 8.000 medici e 13.000 infermieri.CU Il blocco delle assunzioni, il numero chiuso nelle università, la carenza di borse di studio, l’aziendalizzazione del sistema sanitario, l’esternalizzazione di molti servizi, con conseguente precarizzazione del lavoro e riduzioni del salario, hanno fatto il resto.
Inoltre, con la riforma del Titolo V, la responsabilità per la salute pubblica è stata ripartita tra lo Stato e le Regioni: la sanità è finanziata interamente dalla fiscalità generale, ma le spese sono individuate singolarmente dalle regioni, generando così enormi disparità tra i diversi territori. Circa il 42% del totale delle risorse finanziarie è andato alle regioni del Nord, mentre il Centro e il Sud devono accontentarsi rispettivamente del 20% e del 23%. Molte regioni non sono in grado di assicurare i livelli essenziali di assistenza (LEA).
Al processo di privatizzazione ha contribuito il welfare aziendale, incentivato dai Sindacati confederali e inserito in quasi tutti i CCNL, che ha drenato denaro dal pubblico al privato, come conferma il Rapporto sullo Stato Sociale 2019. Le prestazioni sanitarie integrative, con cui si barattano gli aumenti salariali, costituiscono uno sconto fiscale per le aziende, impoveriscono la Sanità pubblica e contribuiscono ad aumentare le disuguaglianze sociali.
Tutto ciò ha causato un rallentamento nell’ammodernamento della strumentazione, una carenza strutturale e cronica di personale e l’ingolfamento del sistema sanitario con liste d’attesa sempre più lunghe, favorendo la sanità privata, in nome di una pretesa maggiore efficienza. Ma il privato, ovviamente, agisce in nome del profitto, non della salute pubblica. Per questo intere fasce di popolazione (anziani, disoccupati, famiglie a basso reddito) hanno smesso di curarsi; per questo le prestazioni che richiedono una degenza lunga e macchinari costosi, come l’epidemia che sta devastando il Paese, è quasi completamente a carico del servizio sanitario nazionale, seppure indebolito e sottofinanziato.
In questi giorni, in cui l’Italia sta facendo i conti con una pandemia che, oltre alla salute pubblica, sta facendo crollare un intero sistema economico, i media descrivono i medici e gli infermieri come “angeli” o “eroi”, ma non è con i martiri che può funzionare il sistema sanitario. Il Decreto emanato dal Governo destina 650 milioni di euro al SSN, ma le misure d’emergenza non sono sufficienti.
Occorre ricostruire una rete di servizi diffusa e accessibile, occorrono investimenti in risorse umane e strutture, occorre ripensare l’intero sistema sanitario, che garantisca la tutela della salute, universale e gratuita, come diritto dell’individuo e interesse della collettività (art.32 Cost).