Covid 19 – L’appello dei familiari degli anziani ricoverati nelle RSA

Le RSA sono state, nella prima fase dell’epidemia l’anello debole della catena. Hanno contato migliaia di contagi e centinaia di morti, un disastro che ha riempito per mesi le pagine dei giornali.

Le strutture, totalmente impreparate a gestire le emergenze, hanno dovuto, come estrema ratio, sospendere tutti i contatti con l’esterno. I dispositivi di protezione erano insufficienti e il personale assolutaente insufficiente ad affrontare il carico di lavoro. In molti casi sono state fatte scelte che oggi sono oggetto dell’attenzione della Magistratura.

Moltissimi degli anziani ricoverati sono deceduti senza il sostegno e la vicinanza di parenti e amici, proprio per la carenza di direttive opportune e  dispositivi idonei.

A distanza di sei mesi, tuttavia, l’isolamento sta causando gravissime ripercussioni  emotive e psicologiche sull’utenza, già di per sé molto fragili per età e/o per condizioni.

Da mesi, queste persone sono di fatto segregate all’interno delle residenze, senza la possibilità di vedere i familiari, i quali non riescono più ad avere notizie sulle loro condizioni di salute.

Nonostante il Governo abbia riaperto la possibilità delle visite, l’organizzazione degli ingressi è stata demandata alle singole strutture. I direttori sanitari, in molti casi, hanno mantenuto il blocco, limitando la possibilità di accesso alle sole situazioni emergenziali.

Dopo il primo trauma, dovuto alla chiusura improvvisa, oggi i ricoverati nelle RSA soffrono la solitudine, il senso di abbandono, la depressione, il senso di vuoto , sono privati del sostegno affettivo e delle relazioni familiari. Il loro stato di salute è peggiorato e, addirittura, alcuni di loro si stanno lasciando morire, avendo perso ogni punto di riferimento. Tutto ciò è intollerabile, tenuto conto che il mantenimento della salute psico fisica e sociale degli utenti presuppone il rapporto con i familiari, imprescindibile e sicuramente momento terapeutico, in congiunzione con le cure, le varie attività, la riabilitazione ecc..

Crediamo che, a mesi dal dilagare della pandemia, si sarebbe dovuto trovare un approccio, un protocollo per cui la vicinanza affettiva trovasse la giusta collocazione nei vari processi e percorsi medici di tutela.

Gli operatori, pur con la costante paura del contagio, hanno fatto il possibile per garantire l’assistenza e le cure, ma spesso sono  in numero insufficiente e riescono a stento a mantenere le pratiche e tempistiche previste dall’accreditamento. Spesso sono soggetti ad un turn over dovuto al ricatto di contratti a tempo determinato.

L’attenzione agli “effetti collaterali” dell’epidemia è, oggi, un dovere morale di tutti, specialmente di occupa posti di responsabilità.

Occorre regolamentare in maniera uniforme, su tutto il territorio nazionale, gli ingressi nelle RSA; favorire i colloqui diretti con i familiari, predisponendo spazi adeguati, nel pieno rispetto delle norme per la prevenzione del contagio; riattivare i servizi accessori, che contribuivano a migliorare le condizioni di vita all’interno delle strutture. Occorre, organizzare la presenza regolare di almeno un familiare per volta, opportunamente equipaggiato, e ridare un ruolo definito ai medici di famiglia.

 

CUB Sanità