NOTA CUB SU EFFETTI DISTORSIVI DELLA RIFORMA FORNERO: SERVE UN URGENTE INTERVENTO CORRETTIVO

Tribunale: ultima spiaggia per un lavoratore licenziato

Un lavoratore licenziato, qualunque sia la ragione posta alla base della risoluzione del rapporto di lavoro che gli intima un datore di lavoro (giusta causa, giustificato motivo oggettivo, ecc.), può ricorrere al Tribunale del Lavoro competente per chiedere l’accertamento dell’illegittimità dell’espulsione dal lavoro.

Prima del 2012: la giusta sanzione

per chi licenziava illegittimamente

Prima della riforma Fornero (2012) e del successivo Jobs Act, a fronte dell’accertamento da parte del Tribunale del Lavoro e/o della Corte di Appello e/o della Cassazione dell’illegittimità del licenziamento, in una azienda con un numero di dipendenti uguale o superiore a 15 unità o 60 su territorio nazionale, i Giudici, ai sensi dell’art.18 della L.300/70, potevano sanzionare il datore di lavoro imponendogli la reintegrazione al lavoro del dipendente, nonché ordinargli il versamento di tutte le retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello della sentenza ed il versamento dei relativi contributi previdenziali.

Prima della Riforma Fornero la sanzione prevedeva

il versamento di tutti gli stipendi e di tutti i contributi

Pertanto, in passato, la lentezza del sistema giudiziario e la complessità dei contenziosi, talvolta, ha protratto la causa, in uno o più gradi di giudizio, per numerosi anni, determinando, in caso di vittoria per il lavoratore, oltre alla reintegrazione, l’obbligo del datore di lavoro di versare, a titolo di sanzione per aver inflitto un licenziamento illegittimo, ingenti somme per un totale che ha, occasionalmente, superato anche la soglia di due o più lustri di mensilità maturate, nonché i relativi contributi previdenziali.

Il lavoratore era chiamato a restituire ad Inps

gli ammortizzatori sociali ricevuti dopo il licenziamento

A fronte del pagamento di tali mancate retribuzioni, il lavoratore che, dopo il licenziamento subito, aveva fruito di qualunque tipo di ammortizzatore sociale era chiamato a restituire all’Inps quanto ricevuto, in modo da non fruire della “doppia” retribuzione, erogata da parte dell’Istituto Previdenziale per il sostegno durante il periodo di disoccupazione e pagata da parte del datore di lavoro per la sanzione inflittagli dal Giudice del Lavoro.

D’altra parte la restituzione all’Inps, a fronte della sentenza di reintegrazione, era richiesta essendo stati cancellati gli effetti sul dipendente del licenziamento sia dal punto di vista retributivo, che contributivo.

Altro che flessibilità: il Governo Monti ha mirato a demolire l’art.18 dello statuto dei lavoratori

Dal 2012, con l’obiettivo dichiarato di “flessibilizzare” il mercato del lavoro ma con la sola intenzione di facilitare i licenziamenti, è intervenuta la Riforma Fornero che ha stravolto le previsioni dell’art.18 della L.300/70 (* – vedi scheda in fondo), ulteriormente peggiorate dal Jobs Act di Renzi.

Con la Riforma Fornero, a fronte dell’accertamento dell’illegittimità del licenziamento (solo in caso di licenziamento nullo resta la reintegra ed il pagamento di tutte le retribuzioni!), anche in una azienda con un numero di dipendenti uguale o superiore a 15 unità o 60 su territorio nazionale, non si prevede più che il datore di lavoro possa essere sanzionato, per ogni causale di licenziamento con l’obbligo della reintegrazione al lavoro del dipendente e il pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello della sentenza in questione (si conferma, invece, l’obbligo del datore di lavoro di versare i contributi previdenziali maturati dal licenziamento illegittimo al giorno della ripresa del servizio).

La Riforma Fornero definisce un tetto alla sanzione per il datore di lavoro e limita la reintegrazione a pochi casi

Infatti, la Riforma Fornero, intervenuta anche su aspetti che regolamentano il processo del lavoro, nonché le regole di impiego e di ingaggio della forza lavoro precaria, nel caso dell’accertamento di un licenziamento illegittimo ha “alleggerito” le sanzioni per il datore di lavoro, prevedendo solo talvolta la reintegrazione e solo in una minoranza di casi il pagamento di tutte le retribuzioni ( * – vedi scheda qui sotto). Conferma solo il versamento dei contributi previdenziali maturati.

Pertanto l’accertamento di un licenziamento illegittimo dal 2012 non produce più necessariamente la reintegrazione e, comunque, stabilisce il pagamento di un “indennizzo” che, a seconda dei casi, può arrivare ad un massimo di 24 mensilità ma senza la ripresa del servizio, oppure a 12 mensilità con il ritorno al lavoro.

Tali previsioni della Legge Fornero sono rimaste intatte anche dopo l’approvazione del Jobs Act ma solo per gli assunti prima del 7.3.2015 mentre per quelli assunti successivamente la reintegrazione è quasi completamente cancellata ad eccezione dei licenziamenti ove sia stata accertata una discriminazione per sesso, religione, razza, ovvero per le motivazioni più complesse da dimostrare. Per gli indennizzi, invece, il Jobs Act prevede un numero di mensilità crescenti, da un minimo di 4 ad un massimo di 24, in base all’anzianità del lavoratore colpito da licenziamento illegittimo (oltre al versamento di tutti i contributi previdenziali dal giorno del licenziamento illegittimo al giorno della sentenza di reintegra).

I tempi del processo sono rimasti lunghissimi

anche dopo la Riforma Fornero

La riduzione delle mensilità di indennizzo, introdotta dalla Riforma Fornero, venne sostenuta dalla giuslavorista posta alla guida del Ministero del Lavoro da Monti, con la scusa che la riforma del processo del lavoro potesse determinare un accorciamento temporale del contenzioso, in modo tale che la riduzione della sanzione datoriale comportasse, comunque, il versamento al lavoratore di una somma congrua e tale da coprire il periodo in cui, in caso di accertamento di illegittimità del licenziamento subito, fosse rimasto senza lavoro e stipendio.

La realtà è stata un’altra e le cose non sono andate come sosteneva la Ministra Fornero.

Il tempo del processo del lavoro, nonostante una “corsia” preferenziale introdotta nei tribunali del lavoro per i ricorsi contro i licenziamenti, è stato ridotto solo in parte e prevalentemente nella primissima fase, visto che la Riforma Fornero ha di fatto aggiunto, proprio all’inizio dell’iter processuale, una fase sommaria al termine del quale il Giudice emana una ordinanza che è a tutti gli effetti esecutiva.

In moltissimi casi, però, i successivi gradi del processo del lavoro (I Grado, Appello e Cassazione) hanno impiegato ben altri tempi per arrivare a conclusione: anche 8-10 anni.

Dopo la Riforma Fornero chi è rimasto per anni senza reddito è spesso indennizzato con soli 12 mesi

Pertanto, la scelta di evitare al datore di lavoro, che ha disposto un licenziamento illegittimo, il versamento di tutte le mensilità maturate fino alla sentenza di reintegrazione al lavoro del dipendente, determina che un lavoratore può restare senza reddito diversi anni, per poi “beneficiare di un indennizzo”, al più, di 12 mesi di retribuzione.

Monti sposta la sanzione dal “carnefice alla vittima”

In altre parole la Riforma Fornero, oltre a cancellare, in molti casi, la reintegrazione al lavoro del dipendente espulso con un licenziamento illegittimo, ha, il più delle volte, trasformato gran parte della sanzione del datore di lavoro in “sacrificio” per il lavoratore.

In altre parole, la Riforma Fornero stabilisce che, in moltissimi casi, a pagare i costi di un licenziamento illegittimo effettuato sia colui che ha subito il torto (il dipendente) e non chi lo ha commesso l’illecito (il datore di lavoro).

A tale proposito, è bene ricordare che il Jobs Act ha ulteriormente peggiorato la situazione, di fatto, cancellando quasi totalmente la possibilità di essere reintegrati per i lavoratori licenziati ingiustamente.

Non solo: ecco gli altri danni della Riforma Fornero

Oltre a questo va osservato un ulteriore effetto, a dir poco “distorsivo”, della Riforma Fornero.

In primis va sottolineato che non cambia nulla rispetto alla situazione ante 2012, nel caso in cui il licenziamento viene giudicato nullo e la sanzione per il datore di lavoro continua a prevedere la reintegra, nonché il versamento di tutte le mensilità maturate e dei relativi contributi previdenziali, con conseguente restituzione all’Inps dei trattamenti ricevuti a titolo di ammortizzazione sociale.

E’ invece altra cosa nei casi di licenziamento illegittimo, ove è prevista la reintegra ma gli indennizzi arrivano ad un massimo di 12 mesi.

Indennizzo minimo ma

restituzione integrale degli ammortizzatori ricevuti

Infatti in tale ultima circostanza accade che colui il quale abbia fruito di una qualsiasi forma di ammortizzazione sociale, in conseguenza di un pronunciamento del giudice che ha disposto la reintegrazione, l’Inps ha proceduto a richiedere le somme erogate a titolo di mobilità e/o naspi (ex-indennità di disoccupazione e mobilità) o altre prestazioni di ammortizzazione sociale, il più delle volte molto inferiori allo stesso “indennizzo” di 12 mensilità.

Inps richiede tutti gli ammortizzatori sociali

versati dopo il licenziamento

Ci sono casi in cui i lavoratori hanno aspettato diversi anni prima che si concretizzasse, in uno dei gradi di giudizio affrontati, una sentenza di reintegrazione e che, pur vedendosi riconoscere un “indennizzo” inferiore o, al massimo, uguale a 12 mensilità, si sono trovati a restituire all’INPS importi equivalenti a diversi multipli di quanto ricevuto.

Dopo il danno del licenziamento la beffa di dover tornare in tribunale per tentare di respingere le pretese dell’Inps

Inoltre, sono molti i lavoratori che, ricevendo lettere dell’Inps di richiesta di restituzione degli importi ricevuti a titolo di mobilità e/o altre prestazioni di ammortizzazione sociale dopo il licenziamento, hanno impugnato tali comunicazioni, chiedendo invano un pronunciamento del giudice in ordine alla inaccettabilità di tale richiesta.

Ad oggi non c’è ancora una giurisprudenza consolidata nel merito e si rincorrono sentenze in cui:

  • i Giudici ritengono parzialmente legittima la richiesta formulata da Inps di restituzione integrale delle somme ricevute dal lavoratore come ammortizzatore sociale dopo il licenziamento, intimando al dipendente destinatario di una sentenza di reintegra la restituzione delle 12 mensilità ricevute dal datore di lavoro sanzionato per aver interrotto il rapporto di lavoro illegittimamente;

  • i Giudici accolgono integralmente la richiesta formulata da Inps di restituzione delle somme ricevute dal lavoratore come ammortizzatore sociale dopo il licenziamento, intimando il versamento di somme ingentissime al dipendente destinatario di una sentenza di reintegrazione.

In tali circostanze, quindi, non solo alcuni lavoratori restano per diversi anni senza retribuzione prima di ricevere al momento dell’accertamento dell’illegittimità del licenziamento un indennizzo di sole 12 mensilità ma, al tempo stesso, sono “inseguiti” da Inps con la pretesa che vengano restituite le prestazioni ricevute degli ammortizzatori sociali : tutto ciò mentre la sanzione del datore di lavoro, per aver licenziato illegittimamente un dipendente, resta limitata alle sole 12 mensilità di indennizzo.

Un caso emblematico è quello di C. P., dipendente di Alitalia Sai in A.S., peraltro non richiamata da ITA

A tale proposito è emblematica la storia di C. P., una dipendente di Alitalia Cai licenziata nel 2014, reintegrata in Alitalia Sai in A.S. ed ora sospesa in cigs per non essere stata assunta da ITA.

Assunta il 01.04.2003 in AirOne dal collocamento speciale riservato agli invalidi, passa in Alitalia Cai dal 2009, con il contratto a tempo indeterminato, part-time a 5 ore al giorno, per 25 ore settimanali ed uno stipendio di circa 1100 euro netti al mese.

Il 3 novembre del 2014 Alitalia Cai, pur impiegando un numero molto inferiore ai minimi obbligatori di personale disabile previsto dalla L.68/99, la licenzia, recapitandole un telegramma presso la sua residenza.

La lavoratrice impugna il licenziamento e sottoscrive il mandato ad un legale di fiducia affinchè depositi al Tribunale di Civitavecchia un ricorso contro tale illegittima espulsione dal servizio.

Nel frattempo viene posta in mobiltà per 2 anni (2015 e 2016) con una prestazione integrata dal Fondo di Solidarietà del Trasporto Aereo che le consente di percepire una retribuzione totale pari all’80% della media degli stipendi degli ultimi 12 mesi prima del licenziamento stesso: circa 850 euro netti al mese.

A tali 2 anni di ammortizzazione sociale se ne aggiungeranno altri 2 di prestazione complessivamente pari a quella precedente, erogati per intero dal FdS del Trasporto Aereo.

Nel frattempo, il Tribunale di Civitavecchia, però, con Ordinanza del 25.5.2015, pur riconoscendo l’illegittimità del licenziamento (…grazie alla Riforma Fornero), dichiara risolto il rapporto di lavoro e condanna Alitalia Cai ad una indennità risarcitoria di 12 mensilità, di 15.627,69 Euro netti.

A tale ordinanza il legale di C.P. si oppone presso lo stesso Tribunale di Civitavecchia che lascia trascorrere 4 anni (sic!) per emettere la sentenza di I grado, arrivata solo il 4.7.2019, alla faccia della “corsia veloce” del processo del lavoro dopo la Riforma Fornero.

In tale sentenza il Giudice:

1. dichiara l’illegittimità del licenziamento comminato da Alitalia Cai alla Signora C.P. ed il diritto della lavoratrice ad essere reintegrata nel posto di lavoro da Alitalia sai Spa in amministrazione straordinaria, cessionaria della stessa Alitalia Cai; 

2. condanna Alitalia CAI Spa al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegra.

Tale sentenza, arrivata dopo oltre 4 anni dal licenziamento e 7 mesi dalla fine degli ammortizzatori sociali, è stata ottemperata da Alitalia Sai che ha inserito in servizio la Sig.ra C.P., al netto delle giornate di sospensione in cigs, per 10 giorni al mese da agosto 2019 fino a marzo 2020 e 5 giorni al mese da aprile 2020 a settembre 2021, per poi, a fronte del mancato inserimento nell’organico di ITA, sospenderla integralmente dal lavoro dal 15.10.2021.

Successivamente alla sentenza di I grado la Corte di Appello il 20.12.2019 ha respinto i reclami di Alitalia, ha confermato la reintegrazione in Az Sai che la Sig.ra C.P.

Alitalia Sai è ricorsa in Cassazione ma ad oggi ancora deve essere fissata la data della prima udienza: ovvero ad 8 anni dall’inizio del ricorso, l’iter processuale deve ancora terminare.

Nel frattempo, però, Inps, dopo la sentenza di reintegrazione di I grado, ha inviato due lettere per recuperare complessivamente Euro 42.485,55:

  1. datata 5.3.2020 e ribadita con R/R datata 14.9.2020 per recuperare quanto versato nel 2015 e 2016 a titolo di mobilità ed integrazione del Fondo di Solidarietà, pari ad Euro 21.425,55;

  2. datata 5.3.2020 e ribadita con R/R datata 14.9.2020 per recuperare quanto versato dal Fondo di Solidarietà del Trasporto Aereo quale prestazione dei 2 anni aggiuntivi alla mobilità nel 2017 e 2018, pari ad Euro 21.060,00.

La Sig.ra C.P. ha impugnato prontamente al Tribunale del Lavoro di Roma tale richiesta dell’Inps ma il Giudice il 19.5.2022 si è pronunciato a favore della legittimità di tale richiesta, accogliendo integralmente quanto rivendicato dall’Istituto Previdenziale: a questo punto la lavoratrice sarà costretta a versare quanto richiestole.

Inps che nel frattempo ha cominciato a prelevare una parte dalla prestazione della cigs che la stessa dipendente Az ha percepito dopo la reintegra a fronte della parziale, e poi totale, sospensione dal servizio effettuata dalla stessa Alitalia Sai.

In buona sostanza quindi siamo nella aberrante condizione descritta all’inizio, ovvero di una lavoratrice licenziata illegittimamente, in cui il Tribunale del Lavoro accerta in I grado, dopo 4-5 anni, l’illegittimità del licenziamento effettuato dal Datore di Lavoro (Alitalia Cai) che riceve una sanzione economica di 12 mesi e versa poco di 15.000 Euro di “indennizzo” alla lavoratrice, oltre a pagare all’Inps i contributi previdenziali maturati dal licenziamento alla data della suddetta reintegrazione in Alitalia Sai (cessionaria di Alitalia Cai).

Nel frattempo, però, Inps procede con la richiesta a C.P. di restituzione di oltre 40 mila Euro, che la lavoratrice impugna, presentando un ricorso al Tribunale del Lavoro di Roma che respinge, avallando la pretesa dell’Istituto Previdenziale che (…bontà sua!) ha già cominciato a recuperare gli importi dalle prestazioni di cigs che la lavoratrice percepisce, essendo sospesa ormai a zero ore in Alitalia Sai ove era rientrata in servizio.

Per completezza espositiva, restano da fare alcune considerazioni:

  1. SULLA ILLEGITTIMITA’ DELLA PRETESA RESTITUTORIA: non vi è mai stata, alcuna sovrapposizione o duplicazione di emolumenti. Non c’è alcuna giustificazione perché l’INPS pretenda la restituzione degli importi doverosamente erogati a titolo di indennità di mobilità e di integrazione FSTA in periodo durante il quale la lavoratrice, come pacifico, era priva di reddito.

  1. SULLA ILLEGITTIMITA’ DELLA COMPENSAZIONE E/O TRATTENUTA: l’Inps, per consolidata giurisprudenza, non può prelevare da una sua prestazione quanto è stato erogato per altra ragione;

  1. SULL’ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE l’art. 38, comma 2, Cost. sancisce il diritto del lavoratore a che <<siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di … disoccupazione involontaria.>>. Ed a tali compiti, il comma 4, dispone che <<provvedano organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato>>. A fronte delle modifiche intervenute con la Riforma Fornero, la sentenza di reintegrazione della lavoratrice non ha determinato il ripristino delle retribuzioni ma solo un indennizzo. Inoltre quanto sostenuto da Inps confligge con l’art. 3 Cost. dato che determinerebbe una evidente differenziazione di trattamento tra i lavoratori trovatisi nel medesimo stato di disoccupazione involontaria: i lavoratori reintegrati entro i dodici mesi dal licenziamento, i quali non patirebbero alcuna perdita di copertura reddituale a fronte dell’indennizzo (e magari potrebbero godere anche di una indennità risarcitoria superiore ai mesi di mancata occupazione); i lavoratori reintegrati a distanza di anni dal licenziamento, i quali, non solo percepirebbero un indennizzo ragguagliato nella misura massima a dodici mensilità, quanto sarebbero addirittura tenuti a restituire la già percepita indennità di mobilità. Anche lo spirito dell’Art. 24 Cost sarebbe violato. in quanto è del tutto evidente che il rischio di dover restituire, a distanza di anni, decine di migliaia di euro, percepite a titolo di indennità di mobiltà, a fronte di una reintegra che ripristini, effettivamente, il rapporto di lavoro, appunto a distanza di anni, si tradurrebbe in un decisivo deterrente all’azione giudiziaria, comportando essa un potenziale costo non sostenibile da alcun lavoratore. Infine violazione art. 11 e 117 della Cost. in quanto la normativa italiana introdotta dalla Riforma Fornero confligge con quella europea.

  2. Codice Europeo Sicurezza Sociale (Strasburgo il 16 aprile 1964) – Parte IV Indennità di disoccupazione – si sostiene l’obbligatorietà del sostegno durante la disoccupazione involontaria;

  1. Carta Sociale Europea (3.5.1996, riveduta) – tutti i lavoratori ed i loro aventi diritto hanno diritto alla sicurezza sociale e tutti i lavoratori hanno diritto ad una tutela in caso di licenziamento;

6) Regolamento CE n. 883/2004 – gli artt. da 61 e 65 che dispongono la obbligatorietà di misure a copertura della disoccupazione involontaria.

7) Regolamento CE n. 987/2009 – Il mancato adempimento da parte della persona disoccupata di tutti gli obblighi e/o la mancata ricerca di lavoro nello Stato membro nel quale ha esercitato la sua ultima attività non incidono sulle prestazioni erogate nello Stato membro di residenza.

Dunque la possibilità che lo stato di disoccupazione involontaria possa rimanere completamente privo di forme di previdenze è semplicemente esclusa anche dalle normative UE, oltre che essere una previsione costituzionale italiana.

A fronte di quanto precede, si rende urgente e non più rinviabile un intervento della Cub nei confronti delle istituzioni e dei parlamentari, affinché siano varate al più presto le necessarie modifiche per superare con effetto immediato le suddette “distorsioni” ed impedire che si consolidi un orientamento giuridico inaccettabile, senza abbandonare l’impegno affinché la Riforma Fornero, insieme al Jobs Act, siano al più presto abrogate e sia ripristinato il diritto alle tutele previste dall’art.18 della L.300/70 per tutti i lavoratori, anche in aziende sotto i 15 dipendenti.

(*) SCHEDA RIFORMA FORNERO

Licenziamenti Individuali

a fronte dell’accertamento dell’illegittimità di un licenziamento in una azienda con un numero di dipendenti uguale o superiore a 15 unità o 60 su territorio nazionale, ha introdotto 5 diversi tipi di sanzioni per i datori di lavoro:

1) Una tutela reintegratoria piena: è la vecchia tutela che prevede la reintegrazione, più risarcimento del danno, quantificabile dal giudice con una somma pari a tutte le retribuzioni perdute dalla data di licenziamento a quello della reintegra stessa, con un minimo di 5 mensilità di retribuzione, con il diritto del lavoratore a chiedere in aggiunta altre 15 mensilità ma rinunciando a tornare al lavoro. Questa sanzione è ora prevista solo per i licenziamenti discriminatori, quelli maturati in concomitanza col matrimonio o in violazione del decreto di licenziamento per maternità ovvero perché la legge ne prevede la nullità (ad es. licenziamento di un disabile in una azienda che non rispetta i numeri previsti dalla L.68/99 o perché scaturito da motivo illecito determinante (come è il licenziamento ritorsivo o di rappresaglia).

2) La tutela reintegratoria debole o attenuata: E’ prevista la reintegrazione ma la misura del risarcimento non ha più un limite minimo, ha invece il limite massimo di 12 mesi. Questa sanzione per il datore di lavoro è prevista:

a) nei licenziamenti disciplinari, ma solo quando il giudice accerta l’insussistenza del fatto contestato ovvero che il fatto rientra fra le condotte punibili con una sanzione conservatrice secondo il CCNL;

b) nei licenziamenti illegittimamente intimati per inidoneità sopravvenuta alla mansione o per superamento del periodo di comporto;

c) ai licenziamenti per giustificato motivo quando il giudice accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del recesso. In questo caso, poi, il giudice può soltanto (quindi ha un potere totalmente discrezionale, perché se può, NON vuol dire che deve!) disporre la reintegrazione.

3) La tutela obbligatoria (solo risarcimento) “ordinaria”: E’ prevista solo una indennità da 12 a 24 mensilità in relazione all’anzianità del lavoratore, il numero dei dipendenti, le dimensioni dell’impresa, il comportamento delle parti e le loro condizioni. Questa sanzione è prevista:

I) al licenziamento per giustificato motivo oggettivo quando il fatto invocato sia infondato;

II) nel licenziamento disciplinare quando il fatto risulti esistente ma inidoneo a giustificare il recesso.

4) Tutela obbligatoria ridotta: E’ previsto un risarcimento tra le 6 e le 12 mensilità graduate dal giudice a seconda della gravità della violazione procedurale e si applica ai licenziamenti inefficaci per violazione:

i) dell’obbligo di motivazione;

ii)della procedura amministrativa prevista per la risoluzione dei rapporti di lavoro per giustificato motivo oggettivo;

iii) della procedura disciplinare ex-art.7 dello Statuto dei Lavoratori con cui si danno le giustificazioni dopo la contestazione (è ovvio che se oltre a queste violazioni si aggiunge la insussistenza dei fatti o la discriminazione si applicheranno anche in questo caso le relative tutele).

Licenziamenti Collettivi (per le aziende che hanno più di 15 dipendenti e che intendono licenziare 5 o più lavoratori).

Qui la legge è intervenuta con la precisa volontà di modificare alcuni punti della disciplina prevista dalla l. 223/91 in base ai quali diverse volte i lavoratori avevano potuto far annullare i loro licenziamenti.

Cambiano, poi, anche in questo caso le sanzioni di fronte ai licenziamenti illegittimi con la previsione di tre situazioni:

A) se il licenziamento collettivo è intimato senza la forma scritta (francamente questo pare una ipotesi fantasmagorica in caso di licenziamento collettivo) si ha la tutela reintegratoria “piena”;

B) se è stata violata la prevista procedura (evidentemente non sanata da eventuali accordi sindacali) si applica solo la sanzione più grave di tipo economico (tutela obbligatoria ordinaria da 12 a 24 mensilità).

C) Se sono stati violati i criteri di scelta si rimanda alla tutela reintegratoria debole, con diritto alla reintegra e al risarcimento fino a 12 mensilità (anche in questo caso però andrà accertato se la violazione dei criteri non nasconda una discriminazione, nel qual caso dovrà essere riconosciuta la la tutela reintegratoria piena).