Causa la pandemia, si è passati dai circa 500 addetti al lavoro agile ai 4 milioni circa, secondo stime approssimate; in realtà, secondo i dati forniti dall’Istat al Senato, ai primi di maggio, la popolazione potenzialmente disponibile al lavoro agile dovrebbe ammontare a tre milioni, tre milioni e mezzo. Comunque, anche se i quattro milioni fossero effettivi, si tratterebbe del 17,4% della popolazione lavorativa, più di 23 milioni (18 milioni e rotti, lavoratori dipendenti, 5 milioni e poco più di autonomi). Come emerge e come, drammaticamente, la pandemia ha dimostrato, la parte di lavori che richiedono la presenza fisica, è di gran lunga più consistente e indispensabile alla collettività. E questo aspetto andrebbe molto più analizzato, soprattutto confrontando se a tale indispensabilità corrisponde adeguata considerazione sia dal punto di vista economico che in quello della scala dei valori sociali.
Al di là delle temporanee esaltazioni, va registrato, comunque, che si è in presenza di un fenomeno consistente che va analizzato e normato, affinché non diventi un’ulteriore precarizzazione del lavoro e per fare in modo che gli eventuali benefici non finiscano in gran parte a favore dei soli datori di lavoro. Del resto, è bene tenerlo a mente, la fonte legislativa dello smart working è la legge 81/2017, artt.18-24, in gran parte dedicata alla tutela del lavoro autonomo.
Fatta questa breve premessa, è necessario affrontare alcuni nodi:
- Le parti stipulanti l’accordo sono il singolo lavoratore e il datore di lavoro. Vero è che la L. 81/17 non esclude la contrattazione collettiva, tuttavia questo aspetto necessiterebbe di norme più precise e vincolanti sia per quanto riguarda il ruolo della normativa contrattuale, sia per l’intervento legislativo stesso, in considerazione del gran numero di lavoratori e lavoratrici esclusi dalla contrattazione nazionale e aziendale (come la crisi COVID 19 ha drammaticamente mostrato in questi mesi sia nei riguardi degli esclusi agli ammortizzatori sociali, sia per i numeri altrettanto consistenti della cassa integrazione in deroga, non stanchiamoci mai di tenerlo a mente). Basta l’elementare buon senso per capire come la trattiva lavoratore/datore sulle modalità di svolgimento e sugli obiettivi del lavoro agile, se lasciata ai soli due attori sia fortemente sbilanciata a favore dei datori. Va altresì considerato, che, se fino ad ora il ricorso al lavoro agile è stato applicato in dimensioni così ridotte, ciò è dovuto, in maggior parte, alla sottovalutazione di tale possibilità da parte dei datori di lavoro, cui fa capo l’organizzazione del lavoro stessa. Anche una recentissima indagine della Fondazione Di Vittorio, citata nella conferenza stampa della CGIL del 18 maggio s., ha evidenziato tale aspetto. Ora che le intenzioni pare stiano cambiando e alcuni datori di lavoro parlano del 30% del personale da collocare in lavoro agile, con conseguenti riduzioni di spese per gli affetti e le strutture logistiche, il tema della normativa legislativa e i relativi ambiti assegnati alla contrattazione collettiva vanno affrontati.
- Il diritto alla disconnessione e il potere di controllo e disciplinare sono altri aspetti fondamentali che evidenziano la necessità di ulteriori interventi. Ad esempio, nel caso della reperibilità, delle festività, del buono pasto, e di altri istituti contrattuali emerge la non sufficienza del solo rimando all’art.20 della L. 81/17, che afferma il generico diritto “ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato in attuazione dei contratti collettivi..”. Ugualmente l’art. 21 della medesima citata legge evidenzia tutti i suoi limiti riguardo al controllo a distanza e sui provvedimenti disciplinari: sul primo aspetto richiama l’art. 4 della L. 300/70, della cui applicazione tutti abbiamo modo di verificare i limiti, a causa sia dell’emergenze securitarie, sia dell’innovazioni tecnologiche introdotte nei cinquant’anni successivi alla nascita della legge; sui secondi, lo stesso articolo, al comma 2, demanda all’accordo, stipulato tra datore e lavoratore, l’identificazione delle condotte eventualmente sanzionabili;
- Ugualmente da definire sono gli aspetti che riguardano la normativa sulla sicurezza del lavoro, quelli della formazione, della fornitura e dei costi delle attrezzature, del godimento dei diritti sindacali e, ultimo, ma non meno importante, l’uso improprio dei dati che riguardano le lavoratrici e i lavoratori, aspetto questo evidenziato dal Garante della Privacy nell’udienza alla Commissione Lavoro del Senato del 13 maggio u.s., il quale ha tenuto a rappresentare la tutela che va garantita al lavoratore, quale soggetto debole nei confronti del datore di lavoro ed ha insistito perché sia impedito l’uso improprio dei dati.
Due ulteriori aspetti meritano di essere affrontati e approfonditi a parte: le differenze di genere nell’applicazione dello smart working e quello del valore sociale del lavoro. Per quanto riguarda le differenze di genere, la personale sensazione di chi scrive, è che il lavoro agile sia presentato come un progresso nella qualità della vita delle donne ma, invece, possa servire per continuare a non riconoscere e a non risarcire loro la mole di lavoro familiare ancora molto sbilanciato a loro danno all’interno della società. Per quanto riguarda il valore sociale del lavoro, insospettiscono gli aggettivi e le definizioni accattivanti riservate ad ogni nuova proposta di modifica che, nei fatti, tende a estraniare il lavoratore o la lavoratrice dal contesto collettivo e lo pongono subalterno nei confronti del datore di lavoro. Esistono tanti rapporti relazionali, collettivi, sociali legati al mondo del lavoro che andrebbero considerati con attenzione, prima di gettare il bambino insieme all’acqua sporca.
Come appare evidente da queste brevi e sintetiche note, il tema del lavoro agile va affrontato con impegno e serietà, evitando, però, di essere subalterni alle mode del momento, diventando, per l’ansia da prestazione, più realisti del re, come spesso hanno fatto i rappresentanti sndacali nella storia storia di questo Paese, e soprattutto evitando di contribuire ad accrescere il numero di soggetti sociali precari e ricattabili.