di MASSIMO FRANCHI
Afia è una bambina fortunata e ora, finalmente, sana. Fortunata perché è diventata il centro di una piccola storia di solidarietà che parte dal Bangladesh e arriva allo sportello migranti del sindacato Cub – Confederazione unitaria di base – al quartiere Monte Mario a Roma che le ha salvato la vita.
L’etimologia di sindacato è «insieme per la giustizia», un significato sovente abusato propagandisticamente, svilito e qualche volta addirittura ribaltato nei confronti degli stessi lavoratori, specie se migranti.
Questa volta invece un centinaio di persone si sono messe assieme per dare aiuto a un papà lavoratore, salute e giustizia alla sua bambina.
La piccola storia a novembre 2021 in pieno Covid. «Mi vedo entrare questo uomo che chiede aiuto perché la sua domanda di Reddito di cittadinanza è stata respinta – racconta Francesca Luzi, responsabile servizi dello sportello Cub di Monte Mario – . Gli spiego che il problema è un buco nella residenza: lui ha i 10 anni richiesti di permanenza da regolare in Italia ma, come succede per tantissimi, non ha gli ultimi due anni continuativi nella stessa residenza».
Alam, questo il nome dell’uomo, infatti è in Italia da tanti anni: ha lavorato a Rimini, Pescara e Ravenna e solo nel 2021 si è dovuto spostare a Roma, proprio a causa del Codiv che ha fatto chiudere le ditte di impianti in cui lavorava nell’indotto Fincantieri.
Lo sportello Cub di Monte Mario ha aperto nel 2017, Francesca ci lavora con il responsabile migranti Massimo Vattani. Sono abituati alla disperazione dei lavoratori alla prese con l’ingiustizia e la burocrazia delle norme che dovrebbero invece aiutarli. Con Alam però succede qualcosa che va oltre. «Dopo la spiegazione si mette a piangere e dice: “Mia figlia sta per morire” e singhiozza a più non posso. Ho conosciuto molte persone del Bangladesh e so che sanno trattenersi anche nella disperazione. Quella reazione mi fa capire che la situazione è molto grave e cerco subito di calmarlo dicendogli che una soluzione la troveremo».
La «soluzione» è la risposta solidale di un piccolo sindacato e un gruppo di compagni che hanno fatto i salti mortali per aiutare quell’uomo, sua figlia e il resto della famiglia. La situazione di Afia è gravissima. La bambina ha due anni ed è nata con una gravissima malformazione. Si chiama estrofia vescicale e consiste una rara malformazione dell’apparato uro-genitale, che intacca sia la minzione sia la vita sessuale.
Alam racconta a Francesca e Massimo «dell’operazione fatta in Bangladesh e costata 10 mila euro per la ricostruzione dell’ano e che però Afia ora sta malissimo perché non potendo fare la pipì è alle prese continuamente
con infezioni sempre più gravi».
All’età di sei mesi, la bambina è stata è stata sottoposta a un intervento che ha riguardato le pareti vescicali degli orifizi.
IL PICCOLO UFFICIO SINDACALE ha deciso di mettersi al lavoro.
«Non avevamo mai trattato un caso del genere ma ci siamo messi a studiare per cercare di trovare una soluzione che inizialmente pareva impossibile», spiega Massimo. Dopo qualche giorno si apre un primo spiraglio. «Sapevamo dell’esistenza di un ufficio del ministero della Salute dedicato alle cure di cittadini extracomunitari in Italia ma anche che di solito a richiederli erano grandi organizzazioni o grandi ospedali per casi molto particolari – racconta Francesca – . Dopo decine di telefonate al ministero della Salute riusciamo ad avere un quadro della situazione: per fare richiesta e accedere al protocollo serve una istituzione che prenda in carico Afia».
A quel punto la scelta è diretta sull’associazione Save the children e sull’ospedale Bambin Gesù di Roma, centro d’eccellenza mondiale nella cure pediatriche, che assieme all’associazione Senza Confine «con ruoli, tempistiche e funzioni diverse, hanno collaborato con noi alla positiva soluzione di questa piccola goccia in un oceano di necessità», spiega Massimo.
«L’accesso sanitario per cure di cittadini extracomunitari» prevede la presentazione di ben 42 documenti e di un «garante» italiano della bambina per facilitare l’iter. «Non c’ho messo molto a decidere – spiega Massimo – anche perché già preparare i documenti è stato un lavoro lungo e complicato che non volevo sprecare». Massimo diventa dunque il «garante» di Afia per la legge italiana. Oggi per la bambina è più semplicemente «lo zio».
LA «PRESA IN CARICO» dell’ospedale Bambin Gesù e il conseguente «via libera» del ministero della Salute ad aprile di quest’anno sono il primo e fondamentale risultato dell’impegno della Cub.
E qui scatta la solidarietà con cui questo sindacato dimostra di essere grande. «Le spese per portare Afia e la
madre in Italia non sono piccole: decidiamo allora di lanciare una raccolta fondi». In poche settimane cassintegrati Alitalia, precari della logistica, migranti di molti paesi e dipendenti pubblici riescono in un’impresa colossale. La raccolta fondi online «Un futuro per Aifa, solidarietà attiva» ga un successo immediato. «Ognuno ha dato oltre le sue
possibilità e presto abbiamo raggiunto i 2 mila euro necessari a comprare i biglietti per Afia e sua madre».
A OTTOBRE ECCO L’ARRIVO a Fiumicino con le feste di Afia e della madre che chiamano da subito «sister» – sorella – una incredula Francesca.
Da luglio Alam ora abita a Mentana, 45 chilometri da Roma. Così quando Afia deve fare anche solo le visite di controllo rimane a dormire a casa di Massimo. La prima visita a Palidoro, sede distaccata a nord di Roma, non va per niente bene. «Ci dicono che Afia ha dei problemi anche al midollo spinale, che rimarrà per sempre incontinente,
che avrà sempre bisogno di cateteri e dovrà sottoporsi a molti altri interventi: in più che è malnutrita e prima di poter essere operata dovrà prendere peso».
Sono mesi duri in cui la famiglia si fa forza solo grazie alla solidarietà della Cub. «Abbiamo organizzato varie cene e visite a Mentana, sono stati momenti toccanti in cui abbiamo conosciuto la dignità della famiglia di Afia», racconta Francesca.
Arriva poi il gran giorno dell’operazione. Il primo settembre Afia viene ricoverata a Palidoro: sette lunghe ore di operazione che terminano in modo totalmente inaspettato. «Vediamo il chirurgo che viene verso di noi con gli occhi lucidi dicendo: “È un miracolo, l’operazione è andata benissimo, molto meglio del previsto: Afia avrà una vita normale e non dovrà sottoporsi ad altri interventi importanti, solo estetici».
«PER FESTEGGIARE LA MAMMA ha voluto cucinare per tutti e si è tolta addirittura il velo anche se non si sedeva a tavola per la presenza di altri uomini», racconta Francesca. Alam ora lavora in un negozio di un connazionale e punta ad aprirne uno suo: «Per regolarizzarlo il suo datore di lavoro ci ha chiesto in cambio di seguire domande simili per i suoi familiari».
Martedì scorso Afia è stata sottoposta a un ultima piccola operazione: le è stato sistemato il cosiddetto «bottone ombelicale».
Tutto è andato per il meglio. Ma la solidarietà della Cub non è finita. Il prossimo obiettivo è portare a Roma anche la sorella Ibnath che da tanti mesi è sola in Bangladesh con i nonni.
da Il Manifesto del 8.11.2022